I nuraghi, certo. Arroccati come fortezze, solenni come templi, affascinanti come un enigma. Ma la Sardegna archeologica ha anche altri tesori da mostrare. Lasciamo alle torri con la caratteristica forma a tronco di cono il loro ruolo di simbolo, di elemento peculiare del paesaggio sardo. E però evitiamo di trascurare, per questo, le tracce che ci portano verso riti, opere, testimonianze carichi di secoli almeno quanto le fortezze dell'età nuragica. Segni di pietra, come i dolmen o i bétili dei culti megalitici, ci parlano di genti e di credenze antiche. Tombe, altari, recinti evocano uomini e donne che forse sono i discendenti di quel cacciatore sepolto, dodicimila o addirittura diciassettemila anni fa, in una grotta del territorio di Oliena. Meritano attenzione, questi monumenti in onore di defunti e divinità. Perché qui sta la porta che si schiude su civiltà remotissime, e quasi sconosciute, capaci ancora di stupirci con l'abilità dei maestri d'ascia o la poesia delle decorazioni incise su una parete di roccia. Immagini di preistoria che spesso si accavallano con i raffinati lasciti dei mercanti fenici o degli artisti dell'impero di Roma. Immagini che invitano a scoprire, nella Sardegna dei silenzi a della roccia, l'infanzia di un'isola orgogliosa dei suoi millenni.