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Niksa
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Il pilum (dal latino, plurale: pila) era un particolare tipo di giavellotto utilizzato dall'esercito romano nei combattimenti a breve distanza. Normalmente ognuno dei soldati (pilani) ne portava due, uno leggero ed un secondo più pesante. Fra i commentatori antichi che ne parlano maggiormente vi sono Giulio Cesare, Vegezio e Plutarco.

Descrizione

Esiste una grande varietà di pila risalenti a varie epoche e ritrovati un po' in tutte le parti dei territori conquistati dai Romani. La lunghezza poteva variare, in base anche alle diverse caratteristiche costruttive, da 150 a 190 centimetri. L'elemento che accomunava i diversi tipi di pilum era il gambo in ferro più o meno lungo che aveva lo scopo di attraversare lo scudo nemico e di raggiungere il corpo del nemico che si proteggeva dietro di esso. Ciò che invece poteva differire di molto tra un tipo di pilum e un altro era la modalità di raccordo tra la parte in legno e quella in ferro. Alcuni pila avevano inoltre delle protezioni per le mani nel caso il legionario avesse voluto utilizzarlo in corpo a corpo, ma non sembra che tal utilizzo fosse comune. Secondo alcune raffigurazioni scultoree pervenute il pilum era talvolta appesantito con una sfera di metallo (bronzo, ferro o, più difficilmente piombo) appena sotto la giuntura tra il metallo e il legno, probabilmente per aumentarne la forza di penetrazione.

Al tempo della Seconda Guerra Punica, Polibio ci informa che esistevano due tipi di pilum, utilizzati nella legione romana, sia dagli Hastati, sia dai Principes: uno grosso, con forma rotonda o quadrata del diametro anche di un palmo, ed uno sottile, simile ad una lancia da caccia di media lunghezza, la cui lasta di legno in quest'ultimo caso è lunga tre cubiti mentre la parte in ferro (munita di uncini) era della stessa lunghezza dell'asta di legno.

« ... e poiché incastrano la parte di ferro del "pilum" fino a metà dell'asta [di legno] stessa, fissandolo poi con numerosi ribattini, la congiunzione risulta così ferma e la sua funzionalità è assicurata, che usandolo, prima che si allenti l'incastro, si spezza il ferro, malgrado nel punto di congiunzione con l'asta di legno abbia una grandezza di un dito e mezzo (si staccava cosi i nemici non la potevano usare contro loro). Tale e tanta è la cura con cui i Romani mettono insieme i due pezzi. » (Polibio, Storie, VI, 23, 11.)

Usi

Dal punto di vista tattico, il pilum era solamente una delle tante armi da lancio a disposizione dei Romani e si presume che il pilum venisse lanciato da una distanza variabile di 10-25 metri dal bersaglio; inoltre si presume che potesse anche essere usato a distanza ravvicinata, anche se questo utilizzo è quello meno usuale.

I lanci di pila, se correttamente effettuati, erano disastrosi per i nemici ed erano in grado di infliggere numerose perdite al nemico, prima che si venisse al contatto.

La conferma dell'ingegnosità dell'arma era nella sua progettazione. La parte finale del pilum era costituita da ferro dolce (tranne la punta ovviamente), che dopo aver colpito il nemico si piegava rendendo così inoltre inutilizzabile lo scudo e costringendo il nemico a farne a meno; inoltre piegandosi l'arma stessa risultava inutilizzabile onde evitare che un eventuale nemico pensasse di tirarla verso i Romani. Lo stesso Gaio Giulio Cesare nel De bello Gallico narra di quest'utilizzo:

« I Romani, lanciando dall'alto i giavellotti, riuscirono facilmente a rompere la formazione nemica e quando l'ebbero scompigliata si gettarono impetuosamente con le spade in pugno contro i Galli; questi erano molto impacciati nel combattimento, perché molti dei loro scudi erano stati trafitti dal lancio dei giavellotti e, essendosi i ferri piegati, non riuscivano a svellerli, cosicché non potevano combattere agevolmente con la sinistra impedita; molti allora, dopo aver a lungo scosso il braccio, preferivano buttare via lo scudo e combattere a corpo scoperto. » (da Cesare, De Bello Gallico, I, 25. )

Da questo brano di Cesare si deducono i seguenti effetti del lancio del pilum:

1. Il pilum crea ingenti danni e scompiglia le fila nemiche;
2. La carica dei legionari avviene subito dopo il lancio del pilum, per sfruttare al meglio il disorientamento e lo scompigliamento tra i nemici;
3. Il piegamento del pilum crea impedimento ai nemici e li costringe a fare a meno dello scudo;
4. Lo stesso piegamento impedisce un lancio del pilum da parte dei nemici verso i Romani.

Storia del pilum

Le origini di quest'arma non sono certe. Secondo alcune testimonianze il pilum fu inventato dagli Etruschi per fermare gli attacchi dei Celti nell'Italia Settentrionale, ma venne introdotto troppo tardi per cambiare le sorti delle loro guerre.

Le prime evidenze del pilum come arma romana partono dal IV secolo a.C. invece. I Romani adottarono questa nuova arma dopo la loro prima guerra con i Celti e successivamente la impiegarono con successo. All'inizio era una semplice arma da lancio leggera (iacula) nelle mani delle truppe da interdizione, successivamente lo si trova in dotazione delle prime file di Hastati nella conformazione che per alcuni corrisponde a quella "pesante", ovvero dotata di codolo piatto come nell'esempio di Oberaden.

Il pilum aveva due importanti aspetti: uccidere i nemici, specialmente truppe corazzate, e rendere inutilizzabili gli scudi. Le truppe celtiche che si opponevano ai Romani dotati di pilum erano principalmente truppe di fanteria leggera con scudi lunghi, non troppo larghi e con giusto mantelli di pelle come "protezione". Le fonti sono rare ma probabilmente anch'essi utilizzavano alcuni tipi di giavellotto, principalmente però facevano affidamento su pesanti spade supportate da corte lance con lunghe lame. Inizialmente formarono una formazione serrata di scudi contro le armi da lancio nemiche per poi caricare in gruppi sciolti che penetravano le linee nemiche e si muovevano lateralmente.

Il vantaggio del pilum consisteva nel fatto che si conficcava negli scudi e li rendeva troppo pesanti per l'utilizzo, o addirittura ne inchiodava due fra di loro, a seconda di come erano disposti strettamente nella formazione di scudi. Successivamente i pesantemente armati Hastati attaccavano la fanteria leggera celtica senza scudi con le loro spade (anch'esse impiegate in grande quantità seguendo la "lezione" dei Celti di utilizzare più esse che le lance), supportate dai Velites dotati di giavellotti leggeri. Successivamente la seconda linea di Principes entrava in battaglia, anche con spade.

In questo modo il pilum poteva rendere inutilizzabile gli scudi dei nemici, perché erano caricati pesantemente in una maniera non ergonomica, e così risultava facile uccidere chiunque fosse rimasto fermo in una formazione allargata. Il pilum era più pesante in principio (in epoca imperiale invece era un po' più leggero) e se non lanciato correttamente poteva essere evitato, rendendo così difficoltoso mirare perfettamente con quest'arma.

È nel periodo pre-Cesare che quest'arma conosce il massimo utilizzo e dopo il periodo cesariano si assiste ad un lentissimo declino che termina nel III secolo. Tuttavia quest'arma resta l'arma più rappresentata dall'iconografia romana anche nei periodi in cui altre armi vengono a rimpiazzarlo.

Ipotesi alternative sull'utilizzo del pilum

Nota: i seguenti riferimenti sono derivati dell'archeologia sperimentale moderna e sono da considerarsi come ipotesi. Infatti la versione ufficiale (accettata dalla maggior parte degli storici) resta quella descritta da Cesare.

1. Studi recenti di archeologia sperimentale tuttavia sostengono che la convinzione derivata dagli scritti di Plutarco, ossia che il pilum fosse unicamente una arma usa e getta atta a deformarsi nell'impatto sia del tutto errata. Il pilum era un'arma studiata per penetrare lo scudo nemico e cercare di colpire l'avversario (soprattutto un pilum lanciato con vigore poteva risultare alquanto letale), mentre la capacità di deformarsi era più che altro "addizionale". L'opinione fra gli archeologi è che la forma del pilum si sia evoluta per poter penetrare le corazze: la punta piramidale avrebbe creato un piccolo buco attraverso lo scudo, consentendo alla sottile parte superiore del giavellotto di passarvi attraverso per penetrare ad una distanza sufficiente da colpire l'obiettivo. La spessa asta di legno provvedeva a fornire il peso dietro al colpo.
2. In uno degli episodi narrati da Plutarco, uno dei due rivetti di metallo che bloccavano la punta con il codolo fu rimpiazzato con un debole perno di legno che si sarebbe rotto all'impatto in modo tale da deformarla lateralmente, su volere di Gaio Mario. Lo scopo descritto in questo episodio era quello di provocarne la rottura per impedirne il suo riutilizzo da parte del nemico. I primi pila non sembrano avere questa caratteristica. Un pilum, penetrato uno scudo attraverso un piccolo buco e avendo la sua punta piegata sarebbe stato così più difficile da rimuovere. È probabile inoltre che la punta dovesse colpire il suolo e così fermare la carica del nemico. Non si hanno comunque altre testimonianze di questa operazione che probabilmente non ha avuto altri seguiti. Del resto tutte le punte di pilum ad oggi trovate conservano tutti i rivetti in metallo. Ulteriori danni sarebbero sopraggiunti se il nemico non si fosse liberato del suo scudo abbastanza in fretta o se fosse stato fatto "scontrare" con la testa da una collisione proveniente da dietro. Un nemico, se non ucciso dal pilum, avrebbe avuto poco tempo prima di avvicinarsi ai legionari e avrebbe dovuto gettare il suo ora inutilizzabile scudo prima di entrare in combattimento. Addizionalmente, i pila piegati sarebbero stati meno adatti ad essere riutilizzati da un avversario pur dotato di proprie risorse. L'opinione fra gli archeologi più comune in passato era che la principale funzione del gambo fosse quella di rendere inutilizzabile il pilum piegandosi, ma ora si pensa che il pilum fosse progettato principalmente per uccidere, con l'aspetto del 'non-ritorno' come un bonus aggiuntivo.

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