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Niksa
489 Words / 1 Recordings / 0 Comments

Morale: non si fece più vivo. Cominciò allora, per così dire, il periodo più intimo dei miei rapporti con la principessa. Lei mi telefonava in media tre volte al giorno e io ogni volta che mia moglie gridava con ironia: "C'è la solita principessa", mi turbavo come se fosse stata una telefonata d'amore. Sì, altro che amore. Era attaccata al soldo in maniera da non credersi, interessata, avara, cocciuta e ingegnosa peggio di un usuraio. Bisogna dire che al posto del cuore ci avesse un salvadanaio: non vedeva e non pensava che al denaro. Ogni giorno poi, al telefono, ne inventava una nuova per aumentare il prezzo, fosse anche di una sciocchezza, cinque o diecimila lire. Oggi era il bagno per il quale bisognava includere il compenso dello stagnaro, domani la vista, un altro giorno il fatto che l'autobus si fermava proprio davanti il portone del palazzo e così via. Ma io tenevo duro sulla cifra di cinque milioni che era già enorme, tanto è vero che i compratori, appena la sentivano, non si facevano più vedere. Finalmente, per un caso fortunato, le trovai l'amatore: un milanese, un industriale, che nell'appartamento voleva metterci una sua mantenutella. Era un uomo sbrigativo e pratico che conosceva il mercato e il prezzo del denaro: di mezza età, alto, con la faccia lunga e bruna e con la bocca piena di denti d'oro. Venne a vedere l'appartamento, esaminò con cura ogni cosa e poi disse alla principessa, senza tanti complimenti: "È una topaia, a Milano ci metteremmo le fontane per lavare i panni... vale cinque milioni come io sono turco... quando ci avrò fatto i lavori necessari, come rifare i pavimenti e gli infissi, aprire delle finestre, cambiare questa robaccia", e indicò le porcellane del bagno, "mi verrà a costare sette od otto milioni... non importa... la legge del mercato si regola sulla domanda e sull'offerta... lei ha incontrato la persona che ha bisogno di questo appartamento... dunque ha ragione lei."

Ma fece male a tenere questo discorso, franco e brutale, da uomo di affari. Perché lei, appena se ne fu andato, mi disse, addolorata: "Proietti, abbiamo fatto un errore enorme."

"Quale?"

"Di domandare cinque milioni soli... quello ne pagava anche sette."

Risposi: "Principessa, ho paura che lei non abbia capito il tipo: quello è un uomo pieno di soldi, è vero, vorrà anche bene all'amante, non discuto; ma più di tanto non dà."

"Lei non sa quello che un uomo può fare per una donna che ama", disse lei guardandomi con quei suoi bellissimi occhi in cui non c'era che interesse e denaro. Mi confusi e risposi: "Può darsi... ma io sono convinto del contrario."

Basta, il giorno dopo il milanese si presentò al palazzo con un suo legale e la principessa, appena ci fummo seduti, disse subito: "Signor Casiraghi, mi dispiace... ma ripensandoci non posso più dare l'appartamento per la cifra di ieri."

"E cioè?"

"E cioè ci vorranno sei milioni."

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