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BERLINO – La prima volta che i diplomatici americani impiegati nell’ambasciata all’Avana hanno lamentato misteriosi disturbi, con percezione di suoni e pressione nella testa che causavano cefalee, vertigini e problemi visivi, l’unità comportamentale dell’Fbi li ha liquidati parlando di un problema psicogeno di gruppo: in altre parole, li ha etichettati come persone talmente suggestionabili da provare sintomi di guai inesistenti per averli sentiti da altri. In quell’occasione, i loro medici si sono ribellati, sostenendo che spesso i pazienti nemmeno si conoscevano fra loro.
Altri casi sono stati segnalati a Mosca, Pechino, o in Paesi come la Colombia, l’Uzbekistan, il Kirghizistan. Oggi si riparla di “sindrome dell’Avana” perché a lamentare sintomi comuni, come quelli dei colleghi schierati a Cuba, sono numerosi diplomatici dell’ambasciata Usa di Vienna. Grazie alla posizione geografica e alla presenza di diverse agenzie internazionali, dall’Aiea all’Opec, la capitale della neutrale Austria è diventata un punto di confronto delle spie di mezzo mondo. E stavolta i responsabili dell’intelligence statunitense sono persuasi che non si tratti di allucinazioni.
Lo stesso direttore della Cia William Burns, scrive il New Yorker che ha rilanciato la storia con un ampio servizio, parla apertamente di “attacchi”, invece che di casi inspiegabili di malattie. Il suo predecessore schierato da Donald Trump, Gina Haspel, aveva apertamente espresso dubbi sulla sindrome. Ora però l’intelligence è convinta: non si tratta di ultrasuoni, né di punture di insetti o uso di veleni. Secondo gli analisti della Cia, i diplomatici sono stati esposti a un’arma a microonde. Silenziosa, invisibile, e capace di provocare danni cerebrali paragonabili a quelli di un urto forte, ma senza toccare il cranio.